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Gruppo Edicom

 

direttore Salvo Bella         
       
 

Il procedimento a carico di Massimo Giuseppe Bossetti per l’uccisione della piccola Yara Gambirasio viene accompagnato da un parallelo processo mediatico che ha esposto a gravi pericoli familiari e parenti dell’indagato: la sorella gemella Letizia Laura Bossetti è stata aggredita due volte da malintenzionati che non avevano tollerato le sue espressioni di conforto nei confronti del fratello; la madre Ester Arzuffi subisce in casa vessazioni da parte di sconosciuti; la moglie Marita Comi è perseguitata da illazioni sulla sua vita privata che turbano la serenità propria e dei tre figlioletti.

Massimo Giuseppe Bossetti è accusato di un delitto che ha suscitato giustamente raccapriccio e allarme nell’opinione pubblica e impegnato senza risparmio autorità e polizia giudiziaria in un lavoro difficilissimo e scrupoloso. Respinge, com’è noto, le accuse e sostiene di non avere mai conosciuto Yara e di non esserne l’assassino; ma il suo dna risulta identico a quello trovato sui leggins e sugli slip di Yara dopo il ritrovamento del suo corpo privo di vita nascosto in un campo abbandonato del Bergamasco. Al momento si susseguono schermaglie fra accusa e difesa, mentre l’imputato resta in carcere, essendogli stata negata più volte la libertà.

La pista del dna ha tratto origine dal fatto che è risultato del defunto autista Giuseppe Guerinoni e quindi di Massimo Giuseppe Bossetti, che ne sarebbe dunque figlio, anziché del padre legittimo del quale porta il cognome insieme con la sorella gemella. Ma Ester Arzuffi insiste nel dire di non avere mai avuto alcun rapporto col Guerinoni, pur avendolo conosciuto.

L’esigenza di una migliore configurazione del quadro che avrebbe potuto indurre Bossetti a tentare violenza su una ragazza ha spinto anche a investigare opportunamente sulla sua situazione familiare e in particolar modo sulla vita della moglie, sicché i media le hanno attribuito anche amanti veri o presunti.

La divulgazione di notizie così estremamente delicate ha avuto conseguenze nefaste sulla serenità delle donne indebitamente coinvolte, assillate da cronisti, fotografi e teleoperatori amanti del pettegolezzo; insomma sottoposte a un linciaggio incivile e illegittimo, tanto da determinare il tempestivo intervento del Garante per la protezione della privacy, che il 22 settembre ha emesso un provvedimento di blocco e prescrizione nei confronti di organi di informazione per la diffusione di dati personali eccedenti tratti da un interrogatorio del Bossetti in carcere (l’atto è stato pubblicato il 7 ottobre sulla Gazzetta Ufficiale n. 233).

I sentimenti di astio che si sono determinati in persone malintenzionate nei confronti delle donne hanno sortito già anche atti violenti, che potrebbero avere conseguenze scellerate anche sul procedimento in corso per omicidio: il Bossetti, infatti, pur in cella, ascolta le tv e la consapevolezza dello stato grave di sofferenza ingiusta indotto da media e da sconosciuti nei suoi familiari potrebbe portarlo ad assumere, allo scopo di liberarli dall’assedio, posizioni artefatte.

Bossetti è solo la punta di un iceberg: è infatti malamente diffusa la prassi, da parte di taluni mezzi di informazione, di invadere la sfera privata più sensibile di quei soggetti che a qualsiasi titolo, anche marginalmente, entrano in una indagine. Ancora una volta si presentano dunque il problema della sistematica fuga di notizie coperte dal segreto istruttorio e l’esigenza di aprire, come in questo caso a Bergamo, procedimenti per scoprire i responsabili.

Gaetano Alemanni