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Gruppo Edicom

 

direttore Salvo Bella         
       
 

Luigi De MagistrisPuò sembrare non condivisibile la richiesta di grazia che Adriano Celentano ha avanzato a favore del fotografo Fabrizio Corona, un ragazzo che, come scrive il big della canzone, “nel male ha agito bene”. A leggere attentamente dietro questa motivazione semplice e persino apparentemente banale c’è però la consapevolezza che Corona, in carcere a scontare una pesante pena, finisce col pagare per uno scellerato meccanismo  che scatta spesso in Italia per spazzare qualsiasi soggetto scomodo.

Sarà che la difesa, nelle vicende processuali, non è stata all’altezza, ma c’è anche la sensazione che la conclusione giudiziaria fosse stata già scritta prima ancora che l’imputato tentasse di far valere qualche ragione a sua discolpa. A nessuno è sfuggito che Fabrizio Corona, con la sua aitanza, appariva a parte dell’opinione pubblica come un giovane discolo. Per tanti anni a conoscerlo erano stati solo gli addetti ai lavori, cioè altri fotografi, giornalisti e personaggi dello spettacolo dei quali carpiva immagini stuzzicanti o che, stando al gioco, segretamente posavano per finire in copertina sui settimanali di pettegolezzi e farsi in tal modo pubblicità; a volte, persino, anche pagati solo per questo.

Non è che Corona abbia perduto a un certo punto la testa e da tecnico e artista di immagini si sia trasformato in un volgare estortore, ma gli è solo accaduto di avere offerto ad alcuno delle foto che lo ritraevano e non avendo ottenuto la disponibilità a comprarle ha fatto presente che le avrebbe ceduto a qualche giornale. In questa prassi, da sempre diffusa, s’è voluto cogliere il senso della minaccia di un male ingiusto per ricavare un profitto illecito. Va bene che la giurisprudenza si evolva, ma è abnome che l’attività commerciale del fotografo possa essere equiparata a quella del malavitoso che annuncia candelotti esplosivi dietro la saracinesca del negozio al commerciante che non vuol pagare il pizzo. E sorprende che questa lettura sia intervenuta quando a sentirsi “molestati” sono stati potenti politici.

Siamo ormai all’inventadelitti per spazzare i soggetti scomodi. Se ne ricava una prova adesso anche dalla vicenda incredibile di Luigi De Magistris, fatto fuori, per sottrargli i procedimenti e insabbiarli, quando da magistrato inquisiva a Catanzaro potenti fra Basilicata, Calabria e Roma, arrivando anche a indagare sul ministro della Giustizia. Si mossero subito i massimi sistemi. De Magistris proprio per quelle vicende è stato condannato in primo grado a Roma a un anno e tre mesi: abuso d’ufficio per avere intercettato Romano Prodi, Francesco Rutelli, Antonio Gentile, Clemente Mastella, Giancarlo Pittelli, Marco Minniti e Sandro Gozzi senza chiedere preventivamente l’autorizzazione alle Camere. Scomodo da pm e ora anche da sindaco, tant’è che la condanna, vista la sospensione della pena, è valsa solo a farlo sospendere dalla carica, De Magistris non incassa però passivamente gli effetti di una prevedibile “rivincita” da parte di coloro che s’erano sentiti vittime di lesa maestà.

Salvo Bella