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Gruppo Edicom

 

direttore Salvo Bella         
       
 

marco vanniniC’è ancora una storia da scoprire sul colpo di pistola che nel 2015 ha ucciso Marco Vannini a Ladispoli: è stato uno sparo accidentale come sostiene l’indagato Antonio Ciontoli, o si è trattato di un omicidio volontario? Non sarà facile avere una risposta all’inquietante interrogativo, appena affidato dalla Cassazione a un nuovo processo, il terzo, che dovrebbe essere celebrato entro l’anno.

Il giovane, com’è noto, era fidanzato di Martina Ciontoli, figlia di Antonio. Si trovava nella loro casa quando fu ferito e lasciato a lungo senza aiuto, con atroci sofferenze. La lentezza dei soccorsi, richiesti tardivamente, ha poi suscitato enorme indignazione: Marco infatti sarebbe stato salvato se da quella casa avessero subito segnalato che aveva una pallottola nel torace. I giudici si sono divisi sulla questione: Ciontoli è stato condannato in primo grado a 15 anni, ma in appello s’è vista ridurre la pena a 5 anni.

 

Il giallo del militare che avrebbe sparato per gioco

Il giallo, tuttavia, è innanzitutto su ciò che accadde realmente il 17 maggio 2015 nell’abitazione di Ladispoli, uno scenario che innumerevoli reticenze e versioni di comodo hanno impedito di ricostruire, cercando di avvalorare l’unica tesi di un ferimento accidentale. Antonio Ciontoli, che dopo varie tergiversazioni s’è accollato l’“incidente”, aveva sostenuto che il colpo fosse partito mentre mostrava l’arma, per poi ammettere, dinanzi a incontestabili evidenze, di avere premuto invece il grilletto immaginando che la sua calibro 9 fosse scarica; ma per gioco.

Solo un irresponsabile può maneggiare per gioco un’arma da fuoco, mentre Ciontoli era un militare e un agente dei servizi segreti, talché la logica indurrebbe a non credere alla sua versione; ma essersi definito un cretino può avergli fatto comodo nella vicenda processuale, che peraltro, come da norme, consente all’indagato di affermare ciò che vuole e persino di fare scena muta. Non dovrebbero esserci dubbi su come andarono le cose: il generale Luciano Garofano ha indagato con la sua indiscutibile professionalità sul caso di Marco e fornito evidenze tecniche sull’uso volontario di quella pistola Beretta.

Servizi segreti e indagini con approccio amichevole

Antonio Ciontoli può essere stato un militare e un agente dei Servizi di quelli rispettabilissimi; ma nei Servizi operano anche cialtroni, straccioni e mangiapane a tradimento per passare quando occorre informative riservatissime, imbeccate strane che ufficialmente nemmeno esistono ma hanno comunque un peso in ambiti militari (anche di polizia giudiziaria) e possono servire per depistare, favorire, spiazzare qualcuno per sostenere altri.

Nella vicenda di Marco Vannini, oltre alle note vigliaccherie, ci sono anche state girandole di soggetti squallidi, con scambi di vedute per potere agganciare consulenti, ritardare attività investigative, svolgere indagini solo con approccio amichevole. Evidente è che nelle attività di polizia giudiziaria subito dopo il ferimento ci fu un eccessivo lassismo, al punto da lasciare che la casa di Ladispoli potesse essere ripulita come se nulla vi fosse accaduto, prima che vi venissero compiuti gli accertamenti scientifici più opportuni.

Ci sarà un terzo processo per definire le responsabilità di chi ha sparato, ma è ormai troppo tardi per fare piena luce sulla morte di Marco, tranne che qualcuno dei testimoni non decida di raccontare la verità.