Claudio Giardiello, l'imprenditore che giovedì ha compiuto la strage al tribunale di Milano, era un uomo disperato: passando da una disavventura economica all'altra, aveva visto disgregarsi la sua famiglia, fallire la sua più importante impresa, sequestrare i suoi beni. Non aveva più nulla da perdere. Quando si determinano situazioni del genere è possibile che saltino anche gli equilibri mentali e che si diventi pericolosi per sé e per gli altri. Ma, mentre si discute sconcertati e allarmati di come sia stato possibile che un uomo entrasse armato al tribunale di Milano senza che alcuno se ne accorgesse, spargesse morte e si allontanasse quasi tranquillamente, si scopre che la sicurezza agli ingressi del palazzo di giustizia di Milano è affidata, grazie a un appalto milionario, a vigilantes disarmati, il cui compito potrebbe essere svolto con costi assai inferiori da semplici portieri.
Chi dovrebbe fermare i malintenzionati è disarmato, ma si lascia invece con grande leggerezza che un uomo in dissesto finanziario e psicologico possa continuare a detenere e portare legalmente un'arma, sebbene per uso di tiro a segno, e addirittura una pistola calibro 9,65 mm, in un modello che, tanto per capire, solo da pochi anni è ritenuto arma comune e non da guerra, pur essendo identica a quella in dotazione in Italia a carabinieri e polizia. Secondo quanto riportano alcuni quotidiani, proprio i carabinieri avevano consigliato di rivedere l’assegnazione a Claudio Giardiello dei permessi rilasciati dal 2011, che nessuno ha mai pensato tuttavia di ritirargli: il parere, peraltro non vincolante, fu infatti sorprendentemente ignorato, non si sa in base a quali valutazioni; i giornali scrivono da parte della prefettura, ma verosilmente dalla questura, che ha la competenza in materia di armi per uso sportivo.