Questo sito utilizza cookies tecnici propri e cookies di profilazione di terze parti. Continuando la navigazione accetti.    MAGGIORI INFORMAZIONI

 

Gruppo Edicom

 

direttore Salvo Bella         
       
 

giustizia

Le tracce di dna che hanno portato alla condanna di Massimo Bossetti all’ergastolo per l’uccisione di Yara Gambirasio sono inutilizzabili: lo sostengono molti giuristi, come peraltro aveva fatto la difesa dell’imputato. Il processo ha evidenziato gravi lacune nelle indagini, anche per il modo spregiudicato di far valere come prove elementi sottratti al pieno contraddittorio. “Bisogna dire no – afferma senza mezzi termini il giudice Gennaro Francione nell’intervista esclusiva che ci ha concesso – ai metodi senza garanzie reali, che fanno rivoltare nella tomba Voltaire, ancora in attesa dopo 250 anni che i suoi principi siano applicati radicalmente”. La questione di fondo, largamente dibattuta, sfiora il caso Bossetti, ma ha implicazioni allarmanti per molti altri imputati che si trovano in carcere pur in presenza di forti dubbi sulla loro colpevolezza.

I miliardi spesi servono a poco senza trasparenza

Su Bossetti, il biologo forense e criminalista Eugenio D’Orio sostiene: “Anche ammesso che le fasi della repertazione e della catena di custodia del reperto contenente la traccia 31G20 siano andate a buon fine, e soprattutto sia stato garantito all’imputato di prenderne visione tramite i suoi consulenti, si dovrà necessariamente indagare che tipo di legame ha quella data traccia genetica con l’atto delittuoso per il quale si indaga. Inoltre, la mancata concessione delle perizie nel precedente grado di giudizio rappresenta una gravissima lacuna cagionata in danno del signor Bossetti dal punto di vista investigativo-scientifico”.

D’Orio ritiene tuttavia che sia possibile e necessario, rimediare a taluni lacune: “Anche se sarà appurata la bontà della traccia 31G20 (la quale è ancora carente se la si vuole ascrivere con scientifica certezza alla traccia dell’offender di Yara) nello specifico, vista la dinamica dell’aggressione, gli altri reperti ancora in uso alla Procura saranno determinanti per dare chiarezze scientifiche di tipo oggettivo ed universale, non più di tipo meramente indiziario, come costituito dalla suindicata traccia”.

 

Vizio di forma scientifico: bisogna ripartire daccapo

C’è del singolare in questa vicenda? “La totale carenza – dice D’Orio - di fonti di prova utili raccolti nella fase preliminare ha causato che troppa attenzione venisse catapultata sulla traccia 31G20, autoconvincendosi gli inquirenti stessi che questa non può essere stata lasciata da altri se non dall’offender a seguito dell’aggressione. Si spera sia così anche per giustificare i costi della maxi-indagine posta in essere. Ma così facendo ci si approccia alla situazione con un vizio di forma scientifico, in quanto si carica eccessivamente la potenzialità di un indizio”.

Che cosa bisognerebbe perciò fare? “Allo stato dell’arte, sarà doveroso, in ottica di garanzia verso il signor Bossetti, andare a vagliare la fase del ritrovamento del cadavere della vittima, con specifica attenzione a tutti i movimenti degli operatori sul corpo e sulla zona circostante la traccia. Si dovrà poi procedere all’analisi delle modalità di spostamento del cadavere fino all’autopsia o al momento preciso in cui lo slip o cosiddetto reperto madre, dal quale proviene la traccia 31G20, è stato separato dal cadavere. Da questo momento in poi si apre un’altra fase valutativa, attinente le modalità di repertazione dello slip e la sua catena di custodia, per arrivare, solo in ultimo, all’analisi del dato genetico (l’unico oggetto di vigorosa inchiesta e contraddittorio nel primo grado). Sono disponibili vari documenti e filmati che, almeno in parte, hanno provveduto alla documentazione (o cristallizzazione) di quanto da me detto in precedenza. Che si parta da quelli. Andando oltre, adesso, da scienziato forense, auspico che la Corte, d’ufficio (preferibilmente) o su richiesta delle parti, vada a svolgere un’indagine omessa sinora, ossia, per ricollegarci alla criminologia dinamica, lo studio della relazione tra la traccia 31G20 e l’atto omicidiario; tale relazione di associazione non può, come in precedenza fatto, essere presunta ipse iure, bensì andrà dimostrata scientificamente. Il fatto che il reperto sia probabilmente esaurito non scusa, in quanto gli altri reperti saranno di aiuto fondamentale in questo studio e si configureranno come un vero e proprio ad audiuvandum degli investigatori”.

I diritti di un uomo non possono essere calpestati da una Corte

In sintesi, è possibile raggiungere certezze scientifiche? “Giovandosi dell’applicazione dell’art. 218 cpp (esperimento giudiziale), si potrà porre in essere uno o più esperimenti scientifici, ripetibili e posti in essere con tutte le prescrizioni del caso, atti a valutare non più l’unico mero dato genetico, ma il dato biologico per posizione e quantità (anche sugli altri reperti, ecco perché questi sono fondamentali), il quale fornirà certezze scientifiche ed oggettive alla domanda è la traccia 31G20 la firma dell’assassino? Ritengo che far ciò sia un obbligo impostoci dal garantismo che si conforma alla presunzione di non colpevolezza (art. 27 Costituzione). Questi sono i presupposti di cui si deve necessariamente tener conto nel caso specifico del signor Bossetti. I numeroni della biostatistica (quattro miliardi e simili, intesi come capacità di discriminare un soggetto da un altro tramite l’analisi genetica) servono a poco se non sono idonee le fasi precedenti; e soprattutto la fonte di prova in oggetto di disamina dovrà essere considerata inutilizzabile se non viene garantita la possibilità di confutazione e verifica alla difesa; intendo inutilizzabilità non solo del dato genetico ma anche di tutti i passaggi che hanno fatto sì che questo si formasse. Negare, o non disporre, da parte della Corte, tali tipi di indagini scientifiche, così esposte e motivate, corrisponderebbe a calpestare gravemente i diritti di un uomo”.

Si scontrano chiaramente due indirizzi del pensiero giuridico, da una parte quello del processo indiziario e dall’altra quello della criminologia dinamica (illustrata dal dott. Eugenio D’Orio nell’articolo “La criminologia dinamica popperiana ovvero contro l'onnipotenza del DNA”), che trova diffusione sempre più ampia e sempre più al passo con i tempi di avanzamento della civiltà. Questa teoria si rifà al pensiero del filosofo austriaco Karl Raimund Popper. Ma può essere un’invenzione nata per soddisfare vagamente gli innocentisti?

Gennaro Francione, che porta avanti gli studi di Popper, anche attraverso numerosi libri e la partecipazione a importanti convegni, intuisce la provocazione e nel concederci un’intervista esclusiva ci dà risposte chiarissime.

Gennaro Francione, acquisizione ed elaborazione del dato: intervista

Lei, giudice Francione, sostiene che una traccia, anche di Dna, lasciata su un cadavere da alcuno non significa che questi sia l’assassino. La cosiddetta “prova” scientifica non avrebbe, dunque, un valore assoluto?

“No. Un dogma non può mai essere scienza e le attuali metodologie di ricerca della prova pur scientifica sono legate a una logica aristotelica uroborica dove l’importante è far quadrare il cerchio una volta che si sia partiti da un presupposto che è tutt’altro che scontato.

“Secondo l’insegnamento di Popper bisogna fare la parte del diavolo e verificare rigorosamente tutte le ipotesi che potrebbero inficiare la congettura base.

“La traccia genetica potrebbe essere effetto di una contaminazione a monte (arrivo accidentale sul corpo della vittima ad es. attraverso animali, oggetti, esseri umani) o a valle (errori nella repertazione o nelle analisi). In tale ultima prospettiva bisogna garantire ab origine l’intervento di un difensore pro ignoto e di un consulente pro ignoto onde verificare la correttezza della procedura di repertazione ed analisi.

“Andandosi oltre, una volta stabilito in maniera inequivocabile che la traccia sia riportabile a un dato soggetto, si dovrà individuare che tipo di azione l'incriminato abbia compiuto in rapporto all'azione omicidiaria. E, quindi: se il rilascio della traccia si è svolto durante l’azione, si deve stabilire se il soggetto abbia agito da solo o con altri; in tal caso se abbia contribuito al delitto o era solo presente. Potrebbe, invece, essere intervenuto dopo il delitto, con soli pochi tocchi casuali o al più operando per l'occultamento del cadavere”.

Può spiegarci quali criteri dovrebbero essere rispettati in questa materia nelle indagini?

“Il criterio base è la scienza giuridica popperiana che va studiata da vecchie e nuove generazioni di addetti ai lavori, ma anche spiegata al popolo che appassionatamente dice la sua sui casi più eclatanti nei social network. Spesso ci s’imbatte in criteri di ricerca della verità assolutamente empirici e fallaci basati sulle convinzioni dei singoli che - come dice Aristotele - sono solo doxa, opinioni spacciate per verità pubblica solo perché qualcuno ha il potere di apporre la firma alla fine di una sentenza.

I DADI DI TEMI“In una mia opera teatrale, I dadi di Temi (caso Cogne), Armando Brigliadoca, uno stranissimo giudice che decide i casi gettando i dadi, spiega al suo cancelliere: Tutto si motiva, mio caro Triboulet. Io scrivo 1000 pagine di una sentenza che fila come un orologio, poi metto la firma e do 30 anni di galera. Peccato che la verità sia un'altra. Il poveraccio incriminato era innocente!

“La ricerca degli autori di delitti, in definitiva, è molto più complicata di quanto vogliono farci credere. In tale prospettiva il processo indiziario ha la comoda funzione di chiudere falle ineliminabili col rischio di mettere dentro innocenti.

“Ho provato a sollevare vanamente questione d’incostituzionalità del processo indiziario e oggi invito avvocati e magistrati a riproporre la questione dopo l’introduzione della formula del ragionevole dubbio. Ogni processo indiziario per sua natura crea ragionevoli dubbi. I processi vanno fatti per essere sicuri di una giustizia giusta solo per prove fortissime.

“A livello procedurale, de iure condendo bisognerà istituire un servizio nazionale di scienze forensi alle dipendenze della magistratura giudicante, organo terzo ed imparziale, a cui affidare le ricerche scientifiche soprattutto nella fase di indagini iniziali. Ciò in sinergia con la separazione delle carriere, per cui il P.M. riprenderà le sue funzioni di pura e semplice accusa avvalendosi di RIS dei CC e di Polizia Scientifica, stavolta in vesti di parti contrapposte ai consulenti di difesa. Ciò consentirà l’applicazione dell’articolo 111 della Costituzione creandosi una parità effettiva e non solo sulla carta tra accusa e difesa, con l’istituto terzo incaricato di acquisire e analizzare i reperti, con interventi ab origine di procuratori pro e contro l’accusato con le loro équipe di esperti”.

Gli innocentisti seguono con attenzione la sua teoria. Ma se nei processi seguissero i metodi da lei auspicati non avremmo molti assassini in libertà?

“Voltaire, nell’opera Zadig ou la destinée, definisce grande per le nazioni il principio in virtù del quale è meglio correre il rischio di salvare un colpevole, piuttosto che condannare un innocente.

“è un male secolare la difficoltà matematica di scoprire gli autori di delitti. L'inquisizione ovviava cercando la confessione con la tortura fisica; il processo moderno forzando il processo indiziario e basandosi sulla tortura psicologico-esistenziale del tenere dentro l'indiziato in carcere sperando che confessi, compromettendone la libertà e la vita di relazione familiare e sociale. Ma se uno è innocente cosa deve confessare?

“Il rimedio è combattere il processo indiziario che ha capovolto la massima di Voltaire Meglio 99 colpevoli fuori che un innocente dentro in Meglio 99 innocenti dentro che un colpevole fuori. Il sistema barbarico e medioevale fa sì che 10-20.000 persone siano in carcere e di queste almeno la metà verrà messa fuori .

“Noi ci battiamo contro la custodia cautelare. La normativa di restrizione al riguardo è decisamente disumana e anticostituzionale perché contro l’art. 13 (La libertà personale è inviolabile) e l’art.27.2: L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.

“Di recente il Parlamento e il Consiglio UE hanno approvato la Direttiva 2016/343 in tema di presunzione di innocenza: l’articolo 3 impone agli Stati membri che tale diritto sia garantito ai cittadini indagati e imputati sino a che non ne sia stata legalmente provata la colpevolezza. Come possono tali principi non influire sullo status captivitatis che può essere innescato solo a fronte di prove fortissime o, comunque, solo in seguito all'emissione di una sentenza definitiva di condanna? E, invece, in Italia si rimane dentro anche per anni su base indiziaria per poi essere assolti.

“Bisogna abbattere in toto il processo indiziario e praticare solo il processo per prove fortissime! Nella fase indiziaria solo controlli sul territorio ma niente carcere a meno che non ci siano prove forti e trattasi di soggetti realmente pericolosi. A parte i risarcimenti, con escamotage tappabuchi evitati in massa, chi potrà mai ripagare le decine di migliaia di innocenti messi fuori dei giorni, mesi, anni di vita in cui sono stati sequestrati legalmente e marcati a vita per l’infamia che sopravvive alle sentenze di assoluzione?

“Insomma agl'indiziati colpevoli o innocenti si potrà porre solo sulla testa la spada di Damocle del processo a loro carico ma liberi e al più indagati a vita. Anche questa è una punizione, nell'equilibrio ai minimi termini tra libertà dei singoli e sicurezza sociale.

“Per rispondere al cuore della sua domanda, se diamo per scontato che coi processi indiziari non siamo sicuri di acchiappare gli autori di delitti, gli assassini in libertà ci saranno lo stesso. Anzi si aggiungerà ingiustizia a ingiustizia perché dentro ci sarà un colpevole, a sua volta vittima del sistema, e non il colpevole che va in giro allegramente e se la ride dei giusti”.

Da Marta Russo a Elena Ceste e Roberta Ragusa: troppi dubbi

Ha presenti casi giudiziari italiani, remoti o recenti, le cui conclusioni fanno insorgere gravi dubbi?

“Marta Russo, Cogne, Meredith, Elena Ceste, Roberta Ragusa, Guerrina Piscaglia, Sara Scazzi, Yara Gambirasio, Chiara Poggi… in pratica tutti quelli che vengono trattati nei reality criminal show dai programmi televisivi, i quali fanno audience proprio perché i casi sono forti e dubbi, spesso sottilmente propendendo per la colpevolezza dell’incriminato di turno pur dando parvenza di imparzialità.

“L’elenco dei possibili innocenti condannati in via parziale o definitiva, tenuti dentro anche annualmente come nel caso Knox Sollecito e Amanda poi assolti, potrebbe essere molto più lungo perché il processo indiziario, che stando alla lettera dell’art 192 c.p.p. dovrebbe essere un’extrema ratio, ha finito per invadere le nostre aule di giustizia fino all’80- 90 per cento dei casi.

“Con orrore mi chiedo quanti innocenti dimenticati dalle tv ci siano. Con spirito combattivo, pur avendo dismesso i panni del giudice per fare il drammaturgo, continuo la mia battaglia da fuori per una giustizia giusta. Il target: abbattere alla radice il processo indiziario a favore di quello per prove fortissime”.