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Gruppo Edicom

 

direttore Salvo Bella         
       
 

chiaraIl clamore sul delitto di Chiara Poggi, massacrata il 13 agosto 2007 nella sua casa a Garlasco, sembra destinato a non esaurirsi anche dopo la condanna definitiva a 16 anni di reclusione inflitta il 12 dicembre 2015 dalla Cassazione al fidanzato della ragazza Alberto Stasi. Gli atti delle indagini che portarono ai tre processi potrebbero ora tornare in tribunale a Pavia, dove sette persone devono rispondere di diffamazione aggravata dall’attribuzione di fatti specifici, dalla continuazione e dal mezzo della stampa, per alcuni commenti espressi fra il 2011 e il 2012 nel gruppo di Facebook “Delitto Garlasco: chiediamo giustizia per Chiara Poggi”.

La giustizia, com’è noto, non è riuscita a delineare in via definitiva un movente dell’omicidio, che tuttavia nei processi di primo e secondo grado si inquadrava in una vicenda di materiale pedopornografico trovato allo Stasi, che Chiara Poggi avrebbe scoperto. Stasi fu condannato, in quanto a ciò, in primo e in secodo grado, ma la Cassazione in ultimo lo assolse nel 2014 ritenendo che la detenzione di quel materiale fosse lecita.

All’epoca del delitto erano esplose numerose polemiche su talune modalità delle indagini e su contrasti nell’Arma dei carabinieri, con denunce reciproche fra un maresciallo e un ufficiale: pagine nere, complicate dal sospetto – poi mai rivelatosi fondato – che alcuno avesse voluto sviare le indagini per mettere al riparo dai riflettori e da eventuali conseguenze giudiziarie lo stesso Alberto Stasi e persone a lui legate in un cerchio di amicizie, anche in ambienti influenti della politica nella provincia di Pavia. Una di tali persone, in particolar modo, fu più volte interrogata sperando che potesse rivelare qualche utile retroscena dell’omicidio e contribuire a far luce sulla questione del materiale pedopornografico e sui suoi contatti col fidanzato di Chiara nei giorni e nelle ore antecedenti il delitto. Il sostituto procuratore generale Laura Barbaini, nella memoria depositata alla Corte d’assise d’appello di Milano nel secondo processo che doveva giudicare Stasi, ha ritenuto che il testimone era stato reticente, per nascondere un problema di particolare gravità.

RETROSCENA A LUCI ROSSE E TESTIMONI RETICENTI

I retroscena delle immagini a luci rosse erano stati fustigati dalla stampa e dall’opinione pubblica, sconcertata dalle evidenze che trapelavano. Questo senso civico espresso nel gruppo di Facebook “Delitto Garlasco: chiediamo giustizia per Chiara Poggi”, ma anche in molti altri, ha trascinato nell’ondata di indignazione un numero elevatissimo di persone di ogni classe sociale e di varie città, non solo italiane. A dolersi di tutto ciò è poi stato però uno dei testimoni duramente censurati dall’autorità giudiziaria, il quale ha presentato querela chiedendo la condanna di alcuni autori di quei commenti.

Due sono i procedimenti in corso a Pavia per diffamazione, a conclusione delle indagini preliminari, e le posizioni degli indagati sarebbero differenziate: alcuni puntano alla possibilità di una conciliazione con il querelante e alla remissione della querela; altri lascerebbero che la vicenda giudiziaria proceda per inerzia fino alla prescrizione, che interverrebbe fra pochi mesi; altri, ancora non a giudizio, chiedono il proscioglimento immediato e se questo non ci sarà potrebbero dare battaglia in un dibattimento perché si faccia luce sui retroscena morbosi del delitto.

Fino a oggi non è caduto il sospetto che siano rimaste impunite, per vari motivi, altre persone coinvolte a vario titolo nell’orrendo omicidio di Chiara Poggi.