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direttore Salvo Bella         
       
 

angelino alfano

Anche il ministro degli Interni Angelino Alfano avrebbe dovuto andarsene dal governo col bastonato Matteo Renzi, ma la politica, spesso sporca e intrallazzista, ha compiuto il miracolo di promuoverlo agli Esteri. Sarà una grande bile per qualche assassino se, come si presume, circola ancora libero chi uccise nel 2010 Yara Gambirasio. Il 16 giugno 2014, infatti, Alfano annunciò subito in tv l’arresto “dell’assassino”: solo che ancora non si sapeva nemmeno che cosa fosse accaduto e soprattutto non lo sapeva il muratore Massimo Giuseppe Bossetti, che poco prima era stato ammanettato in ginocchio in un cantiere davanti alle telecamere.

"Il ministro Alfano l'ha fatta grossa" scrisse su Facebook il leader del Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo. "Siamo letteralmente senza parole. è gravissimo quello che è successo".

La spocchiosità del responsabile del Viminale ebbe l’effetto di una sorta di suggello ad astruse teorie e manipolazioni che il caso Gambirasio ha evidenziato sin dal giorno della sparizione della ragazza a Brembate di Sopra, in circostanze che tuttora rimangono oscure, permanendo gravi dubbi su una ricostruzione dell’accusa debolissima.

Si ricorderà che per tre mesi, prima che fosse rinvenuto in un campo il cadavere della ragazza, si assicurò l’opinione pubblica che la polizia avrebbe riportato Yara viva a casa. In tal modo si depistava, cioè si allontanavano le indagini dalla verità; si lasciava che proseguissero i lavori e si rimuovessero eventuali tracce importanti in un cantiere nel quale i cani molecolari avevano fiutato il passaggio della ragazza; si lasciava che un furgone misterioso, mentre se ne cercava uno proprio di quel tipo, venisse trasferito precipitosamente in Marocco; si attenzionavano attraverso i filmati delle telecamere i furgoni che in coincidenza con la sparizione di Yara si aggiravano attorno al centro sportivo dal quale la ragazza doveva uscire, si identificavano i proprietari, uno dei quali era proprio quel Massimo Bossetti, che gli inquirenti sostengono sorprendentemente di avere conosciuto solo qualche giorno prima del suo arresto, più di quattro anni dopo.

Non s’è capito mai che cosa frattanto accadesse dal 2010 al 2014, se non che è stata spesa una montagna di soldi dei contribuenti, dopo di che sarebbe stato un grave smacco per lo Stato non offrire all’opinione pubblica un assassino. Si spiega dunque l’esultanza di Angelino Alfano?

Grande è il merito di questo giovane arrampante che pochi conoscevano e solo nella sua Agrigento, terra storicamente di mafia astuta e callida, fin quando il cavaliere Silvio Berlusconi non lo incoronò facendolo emergere in ambito nazionale, per poi vedersi voltate d’improvviso le spalle con una corsa in braccio all’avversario Matteo Renzi. In politica sono cose che accadono. Un po’ diverso, invece, è il discorso del Viminale. Uno dei suoi predecessori, Claudio Scajola, si dimise immediatamente nel 2002 chiedendo scusa per avere detto parole inopportune sul giuslavorista Marco Biagi appena ucciso. E Scajola non passava nemmeno per un santo, ma, lui che di terra di mafia non è, credeva ovviamente nell’onore.

Alfano, invece, dopo le polemiche scoppiate per il suo arrogante annuncio dell’arresto “dell’assassino” non pensò nemmeno lontanamente di dimettersi. Più recentemente un suo funzionario, il vice questore aggiunto Elio Iannuzzi, è stato ad Avellino protagonista di una vile aggressione al giornalista  Luca Abete di “Striscia la notizia”, colpevole solo di avere rivolto delle domande sgradite al ministro dell’Istruzione, ora da poco ex, Stefania Giannini; ma Alfano non s’è scomodato, la pelle ce l’ha dura quanto il senso istituzionale. E prima ancora il vice questore aggiunto Francesco Anelli, dirigente del commissariato di Legnano, nell’occuparsi di minacce da me ricevute per il mio libro “Yara, orrori e depistaggi” aveva scritto falsamente in un atto che avevo intascato ventimila euro destinati ad indagini sulla morte della Gambirasio e che non correvo pericoli, ma addirittura da giornalista di professione ero stato deontologicamente immorale! Ora, può accadere nella vita che un asino sbagli; ma che lo faccia il suo padrone è forse un po’ diabolico. Ed ecco che non sortirono nulla i miei esposti a questore e prefetto di Milano, ma nemmeno quello spedito proprio al ministro Alfano: il suo vice Filippo Bubbico, più volte indagato per vari reati contro la pubblica amministrazione e sempre prosciolto, omettendo anche di sentirmi, archiviò con due righe lapidarie senza nemmeno entrare nel merito. Bel ministero degli Interni sotto Angelino Alfano, che dovrebbe ricordare una bella frase del suo concittadino Luigi Pirandello: “Nulla atterrisce più di uno specchio una coscienza non tranquilla”.

8 - CONTINUA