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giuseppe gassiÈ morto oggi a Bologna il falso criminologo Giuseppe Gassi, che avrebbe dovuto rispondere, in due processi, di minacce di morte alla vera criminologa Roberta Bruzzone e al giornalista e scrittore Salvo Bella. Aveva 65 anni, viveva a Turi in provincia di Bari ed era noto per alcune campagne innocentiste a sostegno di Massimo Bossetti, Sabrina Misseri e altre persone condannate all’ergastolo per omicidio.

Mario Cerciello RegaNon c’è nulla di oscuro nelle circostanze dell’uccisione del vice brigadiere Mario Rega Cerciello a Roma, tragico epilogo della scorribanda miserabile e della malvagità di un manipolo di violenti che il cuore nobile di un carabiniere non avrebbe potuto immaginare.

Sono ridicole le polemiche fomentate sulla etnia degli assassini: che nelle prime fasi delle indagini fossero ritenuti africani o italiani non cambia la virulenza e le cause dell’aggressione mortale; eppure non pochi parlamentari si sono scatenati con toni razzisti gridando contro gli immigrati africani, perché siano mandati ai lavori forzati o addirittura condannati a morte. L’ondata di certo populismo favorisce becere speculazioni anche da parte di personaggi al potere, che confidando nella creduloneria nascondono la gravità dei problemi: sono proprio loro, infatti, i responsabili dello sfascio progressivo della giustizia, che per garantismo lascia a spasso i delinquenti vanificando il lavoro di chi li ferma.

facebook censoredI tribunali sono intasati di processi per minacce di morte a magistrati e giornalisti diffuse attraverso Facebook, che non ha censurato messaggi pericolosi e truculenti mentre, invece, si picca di oscurare la foto di un culo e addirittura sospende per aver menzionato il negozio di un signor Ricchioni. Sembra il brutto andazzo della peggiore politica, che non butta fuori i ladri nemmeno dopo l’intervento della magistratura.

I paradossi del più diffuso social sono l’esito nefasto di sistemi informatici che rilevano l’uso di parole messe al bando, ma anche effetto dell’inadeguatezza di strani team di revisione incapaci di comprendere il contesto e di andare perciò oltre le formule.

Se non ti piace non leggere più quel post

Chi segnala insulti o minacce si sente rispondere da Facebook con un messaggio automatico che lo invita a non leggere più un post che non gli piace, che può essere letto comunque in eterno in tutto il mondo; perché la diffamazione non è reato in California, dove ha sede il colosso.

Antonio Logli Roberta RagusaIl cadavere di Roberta Ragusa, sparita di notte da casa il 14 gennaio 2012 a Gallo San Giuliano in provincia di Pisa, non è stato mai trovato; ma ci sono le prove che è stata uccisa e l’assassino è il marito Antonio Logli. L’ha stabilito in via definitiva la Cassazione, confermando la condanna dell’uomo a vent’anni di reclusione.

A nulla sono valsi i tentativi di inficiare l’attendibilità dei testimoni e in particolar modo del giostraio Loris Gozzi, le cui deposizioni sono risultate schiaccianti nelle serrate ricostruzioni della procura della repubblica di Pisa.

Le ultime battute di questa vicenda giudiziaria hanno del grottesco: Antonio Logli, infatti, ha sempre respinto ogni accusa, sostenendo l’ipotesi dell’allontanamento volontario della moglie; ma la difesa aveva chiesto in via subordinata che, se non assolto, lo si condannasse eventualmente per omicidio preterintenzionale o colposo. Ma dove ha distrutto e occultato il cadavere?

L’omicidio secondo i giudici ha tratto origine da motivi di interesse in una relazione extraconiugale che ha dell’allucinante: la strana tresca di Logli con Sara Calzolaio, una giovane quanto un armadio che già allora non aveva proprio nulla di avvenente nel pensiero e nel fisico, proprio l’opposto di Roberta, una madre di famiglia che quanti la conoscevano hanno sempre descritto come una donna modello nella vita e nel lavoro.

Vent’anni di carcere sono pochi. Logli aveva sempre detto di credere che la moglie sarebbe prima o poi tornata; e addirittura di sperarlo. Ma s’era portata in casa, come se nulla fosse, l’amante: in molti la definiscono inconsapevole e tuttavia non si comprende come, sebbene per amore, abbia potuto vivere a cuor sereno con l'uomo accusato di avere ucciso per lei la moglie innocente.

ricchioni dal 1962Trenta giorni di sospensione dell’amministratore per odio sessista, gruppo avvisato e a rischio di chiusura: questa l’incredibile punizione comminata da Facebook al giornalista Salvo Bella e a “Forconi e pecore” per avere pubblicato in un post la foto dell’insegna curiosa di un negozio con la scritta “Ricchioni dal 1962”.

Il post, pubblicato il 26 giugno alle ore 15.52, faceva parte di una serie di titoli curiosi o umoristici, prevalentemente di giornali, nomi di strade e insegne di negozi; e appare evidente che non aveva alcun intento lesivo.

Alessandra VellaUn magistrato indagato a Caltanissetta per falso ha firmato ad Agrigento la perla che considera arbitrario l’arresto di Carola effettuato a Lampedusa dalla guardia di finanza. Non ci voleva proprio questa sconcertante vicenda, che si aggiunge alle turbolenze e agli scandali della giustizia. Non è la sconfitta di Matteo Salvini, ma un altro obbrobrioso episodio di politica nelle aule giudiziarie, dove all’applicazione delle leggi si possono sovrapporre interpretazioni che lasciano allibiti i cittadini di buon senso, abituati ad assistere spesso ad accanimenti scellerati verso poveri disgraziati e a distrazioni strane verso criminali.

La questione non è fra la libertà a una ragazzetta tedesca che ancora non è stata condannata e l’opportunità di rinchiuderla invece in carcere per motivi cautelari. A sconcertare è l’audacia con la quale un magistrato ha potuto ritenere che una persona, per di più straniera in territorio italiano, possa violare le nostre leggi per un discutibilissimo “stato di necessità”; ipotesi che al massimo avrebbe potuto consentire di oltrepassare un incrocio con semaforo rosso ma non anche di forzare blocchi e infischiarsene ai ripetuti ordini di fermarsi.

Giuseppe GassiAndrà a giudizio in due processi un fabbro che spacciandosi per esperto criminologo minacciò l’anno scorso una vera criminologa, Roberta Bruzzone, annunciando su Facebook in regalo per la Befana un cappio al collo per lei, per giudici e per il giornalista e scrittore Salvo Bella.

Si chiama Giuseppe Gassi, pugliese di Turi, 64 anni, l’uomo raggiunto per questi fatti da due decreti di citazione emessi a conclusione di indagini da due Procure diverse. Sarà giudicato il 20 novembre dal tribunale di Bari e successivamente da quello di Busto Arsizio, dove dovrà rispondere di minacce di morte e diffamazione aggravata.

I procedimenti hanno tratto origine da uno scritto apparso il 6 gennaio 2018 nella pagina di Facebook “Sabrina libera adesso”, riferita alla giovane Sabrina Misseri condannata all’ergastolo per avere ucciso nel 2010 ad Avetrana la cugina Sarah Scazzi. Dietro quel “fake” si celava proprio il Gassi. Pur essendo un fabbro privo di studi e di titoli, peraltro con qualche trascorso penale, vantando di essere un esperto criminologo sostiene da tempo l’innocenza della Misseri e di altri autori di omicidio, come Giuseppe Bossetti.

antonio ciontoliI cinque anni ad Antonio Ciontoli per l’uccisione di Marco Vannini sono il massimo della pena per omicidio colposo. L’emotività fa gridare allo scandalo, perché la morte violenta di un giovane non può essere pagata a così misero prezzo. L’erogazione delle pene, tuttavia, va fatta processualmente secondo precisi parametri stabiliti dal codice penale, con margini ristrettissimi di discrezionalità per i giudici; ma anche da questo punmto di vista la sentenza è stata generosa.

Il bailamme di alcune trasmissioni televisive insiste sui misteri di ciò che realmente accadde la sera del 14 maggio 2015 a Ladispoli in casa Ciontoli, dove Vannini fu ferito mortalmente con un colpo di pistola. La ricostruzione non è delle più lineari, basata com’è sulle dichiarazioni contrastanti di quanti si trovavano nell’abitazione e più o meno ebbero perciò la consapevolezza di ciò che era accaduto. La richiesta di soccorso non fu tempestiva e ci si adoperò per tentare di nascondere che era stato esploso il colpo di arma da fuoco. Se la verità fosse emersa subito, Marco poteva essere forse salvato, forse no.

Bossetti CassazioneIl processo in Cassazione, che si celebrerà venerdì, deciderà se sono stati violati i diritti dell’imputato o se debba essere definitiva la condanna di Massimo Bossetti all’ergastolo per l’uccisione di Yara Gambirasio.

L’ipotesi che il processo possa essere rifatto, dopo i primi due gradi di giudizio, appare alla vigilia alquanto improbabile, come da escludere sembra che la Suprema Corte possa annullare senza rinvio la condanna, praticamente assolvendo l’imputato. Ciò non perché, come sostengono alcuni innocentisti, i costi della vicenda giudiziaria sono stati iperbolici, soprattutto nella fase delle indagini preliminari, così da non potersi giustificare una conclusione senza colpevoli.

saluto fascista di Silvio BerlusconiLa foto di Silvio Berlusconi col saluto fascista è consentita da Facebook, che censura invece quella di una bottiglia di vino con l’immagine del Duce, punita con una sospensione di trenta giorni da ogni attività sul social. Fra vini del cazzo, di troia o del camerata, per finire col gaio delle passere, bisognerà stare attenti: sono tutti ottimi e mettono di buon umore, ma possono causare dispiaceri se nell’etichetta c’è una foto di Benito Mussolini.

La legge 645 del 1952 sanziona la ricostituzione del partito fascista e anche la sua apologia, mirando sostanzialmente a stroncare finalità antidemocratiche. Ma ha suscitato notevole confusione il tentativo, del deputato pd Emanuele Fiano, di inasprire la norma introducendo nel codice penale l’articolo 293 bis; solo che la controversa proposta di legge è decaduta nel 2017 con la fine del governo Gentiloni.

Una vicenda non giudiziaria ma semicomica

Un nuovo caso, stavolta non giudiziario ma semicomico, è scaturito ieri dal post di un iscritto nel gruppo pubblico di Facebook “Forconi e pecore” (di cui sono amministratore) che riproponeva sentenze di Cassazione secondo le quali il saluto fascista non costituisce reato. Per far comprendere meglio di cosa stessero parlando i giudici della Suprema Corte, ho aggiunto al post, a forma di commento, due foto: la prima di Silvio Berlusconi che saluta alla mussoliniana, gesto per il quale nessun magistrato s’è mai sognato, giustamente, di dovere instaurare un procedimento penale contro il leader di Forza Italia; la seconda (anch’essa reperita attraverso Google) di tre bottiglie di vino, regolarmente in commercio, recanti etichette col volto di Mussolini (una col medesimo saluto), alla quale ho aggiunto la frase “Ora ci priviamo magari di un ottimo vino per fare un piacere al Pd”.

CassazioneSarà pietra tombale sull'ergastolo a Massimo Bossetti per l'uccisione di Yara Gambirasio o ad otto anni dal delitto avremo dei colpi di scena? Il 12 ottobre la Cassazione deciderà sul ricorso dell'unico imputato, le cui speranze sono aggrappate all'ipotesi che possa essere accolta la sua richiesta di ripetere gli accertamenti sul dna, a lui attribuito, che fu rinvenuto sugli slip della ragazza assassinata.

Bossetti, arrestato nel 2014 al culmine di una indagine difficilissima, si protesta innocente. Oltre alle tracce del dna, ci sono a suo carico vari indizi, che la difesa ha cercato inutilmente di smontare: nel 2016, infatti, la Corte d'Assise di Bergamo ha emesso la sentenza di condanna all'ergastolo, confermata l'anno scorso in appello a Brescia. 

La procedura prevede che la Cassazione può dichiarare il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza, oppure accoglierlo e annullare o modificare la sentenza di condanna in modo definitivo, oppure ordinare un terzo processo. Alla vigilia dell'udienza si sono riaccese sui social le polemiche fra innocentisti e colpevolisti, molti dei quali si son dato appuntamento per giorno 12 davanti al Palazzo di Giustizia di Roma.

Il caso è uno dei più dibattuti degli ultimi decenni. Su di esso sono stati scritti da giornalisti alcuni libri, due pubblicati nella collana "Il Delitto" della nostra rivista: "Yara, orrori e depistaggi" di Salvo Bella, uscito nel 2014 prima dell'arresto di Bossetti; e "Social Crime - Yara Gambirasio e Massimo Bossetti nei gruppi di Facebook" di Tommaso Accomanno, uscito quest'anno.

Il caso giudiziario visto da due scrittori

Inutili le difese in tv e per strada

di Salvo Bella

La vicenda di Massimo Bossetti è dal punto di vista giudiziario estremamente ordinaria: non è la prima volta, infatti, che un imputato venga riconosciuto colpevole in base a una somma di indizi e condannato all'ergastolo.

Sono stato il primo, e forse l'unico, a sostenere che le iniziali indagini subito dopo la sparizione misteriosa di Yara Gambirasio furono assai criticabili, nonostante la direzione impeccabile della pm Letizia Ruggeri. A lei si deve il buon esito, quand'era ormai insperato, di una caccia all'uomo senza precedenti nella storia della criminalità in Italia.

Al di là degli aspetti giuridici, l'anomalia, rilevata anche dalla Corte d'Assise d'appello di Brescia, attiene invece all'eccessiva esposizione alle tv, dove a quella giudiziaria si è sovrapposta una difesa priva di alcun beneficio per le sorti dell'imputato.

Vero è che in passato non esisteva Facebook, ma il proliferare di gruppi innocentisti o colpevolisti sui social ha alimentato polemiche molto aspre nelle quali sono emersi anche improvvisati investigatori o scienziati, contrapposti come nemici da abbattere attraverso variegati "sopralluoghi" alla Sherlock Holmes oppure "perizie" su mitocondriale e compagnia bella.

Che dire persino di una "marcia dei cento passi" davanti a una stazione ferroviaria per proclamare l'innocenza di un imputato?

I processi di primo e secondo grado sono stati celebrati con il confronto più ampio fra accusa e difesa su tutti gli elementi, che fossero discutibili oppure no; e le schermaglie ijn aula hanno permesso a due Corti di attentamente esaminare contestazioni ed eccezioni, fino alla formazione del convincimento di colpevolezza.

Le motivazioni hanno dissipato ogni perplessità su fatti e su scelte procedurali, le quali tuttavia saranno a giorni rivalutate dalla Cassazione. Le difese in tv, per strada o via Facebook sono inutili e non scriveranno quest'altra sentenza.

Tra fronti contrapposti, qual è la verità?

di Tommaso Accomanno

Fino ad ora Bossetti, con le due condanne della Corte d’Assise di Bergamo (1 luglio 2016) e della Corte d’Appello di Brescia (17 luglio 2017) all’ergastolo, resta il presunto ed unico colpevole.

I suoi avvocati, Claudio Salvagni e Paolo Camporini, hanno presentato il 26 settembre i “motivi aggiunti” e, anche nella Capitale, porteranno avanti la loro arringa sostenendo l’innocenza del loro assistito: tuttora e dal giorno dell’arresto (16 giugno 2014) è caldeggiata dai suoi sostenitori e reputata infondata da coloro che lo ritengono colpevole.

La diatriba, come ho provato ad analizzare nel mio libro “Social Crime. Yara Gambirasio e Massimo Bossetti nei gruppi di Facebook”, pubblicato nel giugno del 2018, è sfociata appunto nel social network.

Nella mia analisi, asettica e priva di qualsiasi intenzione di emissione di giudizio, ho fotografato ciò che nei gruppi e nelle pagine dedicate a vittima e presunto assassino è emerso in relazione al caso e agli sviluppi in aula.

Il mio libro, nato dalla tesi di laurea magistrale che si incentrava solamente sulla presunta innocenza evincibile da determinati gruppi Facebook, è stato arricchito con sfaccettature e curiosità propugnate sul social dopo la condanna in secondo grado e lì si è fermato.

Ora, anche il mio testo, in caso di assoluzione il 12 ottobre, potrebbe essere stravolto e quanto contenuto all’interno rivisitato perché facente parte di un passato errato o comunque discutibile e aprirebbe nuovi scenari.

In caso di ennesima condanna, con il giudizio che diventerebbe definitivo, il materiale raccolto nel libro potrebbe solo avvalorare quanto sostenuto dai colpevolisti e abissare quanto creduto dagli innocentisti.

Il processo e quindi il caso, oserei dire finalmente, volge al termine. Finalmente perché, dal mio modesto parere, si porrebbe un punto, a prescindere dall’esito, che potrebbe essere inteso come “punto e a capo”, in caso di assoluzione, e “punto e virgola”, in caso di condanna.

Se Bossetti, anche in Cassazione, venisse condannato Yara potrebbe riposare in pace perché, senza se o senza ma, sarebbe acclarato il nome e cognome del suo assassino e non del presunto,perché, intendiamoci, il vero assassino fino all’emissione della sentenza potrebbe essere chiunque.

Se Bossetti venisse assolto si aprirebbero nuovi scenari e nuove ipotesi che darebbero la possibilità di una “nuova vita” a Bossetti.

Ciò che spero è che questo caso, procrastinato fin troppo a lungo, si chiuda riconoscendo che la prima e unica reale vittima al momento è stata una bambina di 13 anni, strappata alla vita troppo presto.

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disastro plasticaRecuperare bottiglie di plastica abbandonate e foglie di alberi e farne una giacca? Facebook ha appena dichiarato fuorilegge a vita l’italiano autore di un progetto ecologico lanciato come startup sul sito Kickstarter: pubblicità a pagamento vietata e cancellato per sempre.

L’allarme mondiale per l’abbandono delle bottiglie di plastica sulle spiagge sta inducendo i governi ad escogitare misure che fermino questa catastrofe. Sono molte anche le aziende che tentano in vari modi il riciclaggio. In quest’ottica Federico Bella (https://www.facebook.com/federicobella.personaltrainer), esperto di fitness affermato in Italia e all’estero, attualmente a Miami, ha inventato una giacca dalle caratteristiche insolite: il tessuto impermeabile è ricavato appunto dalle bottiglie di plastica e la sofficissima imbottitura da foglie e altre fibre vegetali. leaf jackets

“Per meglio divulgare il progetto – dice Bella – ho affrontato la pubblicità a pagamento su Facebook, che all’improvviso l’ha però bloccata come se disturbasse”.

Il reclamo ha sortito una risposta laconica e assai curiosa: “Quando gli account pubblicano inserzioni che non rispettano le nostre Normative pubblicitarie, vengono disattivati. Non c'è nulla che tu possa fare. Non supportiamo inserzioni per il tuo modello aziendale”. Il “modello” è quello di Kickstarter, il sito web americano di finanziamento collettivo per progetti creativi: in pratica bisogna raggiungere un certo numero di prenotazioni a prezzo di lancio per passare alla produzione, in questo caso affidata a completamente a una manifattura italiana. Ecco la pagina di lancio: https://www.kickstarter.com/projects/leafjackets/leaf-the-green-jacket.

divieto FacebookCensurato, dunque, per sempre. A deciderlo in modo inappellabile è stato per Facebook un sedicente Hazel e c’è da pensare che abbia scambiato lucciole per lanterne, quasi che si stesse cercando di promuovere ordigni o un gioco d’azzardo.

la siciliaLa bufera che ha colpito “La Sicilia” ha un codazzo di fandonie che - ben oltre le risultanze della magistratura - vorrebbe infangare un giornalismo catanese storicamente in prima linea nella lotta contro la mafia, un mestiere che per decenni ho onorato insieme con altri combattivi colleghi senza lasciarci intimidire da reazioni violente della malavita organizzata. Scomparsi ormai gli altri, incombe a me, unico sopravvissuto, il dovere di ricordare il valore morale e professionale di cronisti che abbiamo lavorato a testa alta, senza mai chinare il capo, e svolto un lavoro anticrimine pari o in alcuni casi addirittura superiore a quello dello Stato.

La duplice veste di Mario Ciancio di direttore ed editore del giornale può avere comportato conflitti di interesse di vario genere, che non hanno però avuto, sostanzialmente, riflessi nell’esercizio della cronaca nera; e non ne hanno avuto nemmeno i molteplici affari imprenditoriali da anni oggetto di indagini da parte della magistratura.

Improvvisati soloni, erano appena nati

È penoso leggere oggi improvvisati soloni secondo i quali sui giornali di Ciancio non sarebbe mai apparsa la parola “mafia”. Ad affermarlo, c’è da sperare in buona fede, sono colleghi che quando a Catania erano in corso guerre di mafia erano appena nati o non leggevano comunque il giornale e non sapevano cosa accadeva e ancor meno dell’attività puntuale - e per loro estremamente pericolosa - che svolgevano i cronisti, spesso andando oltre le indagini di magistratura e polizia giudiziaria.

yara gambirasio e massimo bossettiA otto anni dall’uccisione di Yara Gambirasio, è definitiva la sconfitta della difesa di Massimo Bossetti: è lui, come confermato dalla Cassazione, l’assassino e dovrà scontare la condanna all’ergastolo. Gli innumerevoli “punti critici” sulle conclusioni dell’accusa, le eccezioni difensive e le proteste di innocenza dell’imputato non hanno per la Suprema Corte, perciò, alcun valore: il ricorso degli avvocati Salvagni e Camporini, infatti, non è stato respinto, ma addirittura ritenuto inammissibile per manifesta infondatezza. Non ci sono perizie da ripetere sul dna trovato sugli slip di Yara: è di Bossetti, che ha potuto difendersi ampiamente nel corso delle indagini preliminari e in due processi, entrambi conclusisi con sentenza di colpevolezza.

La requisitoria del sostituto pg era stata, nel pomeriggio, durissima più del previsto e aveva alquanto frastornato gli innocentisti che l'hanno ascoltata, molti giunti a Roma nella mattinata dalla Lombardia. Due di loro avevano tenuto steso davanti al palazzo della Cassaziolne uno striscione con le parole "Bossetti innocente": una teatrata che non serviva per nulla a Bossetti, come altre inscenate in questi anni da convinti assertori dell'innocenza ma soprattutto da soggetti con precedenti penali interessati a gridare contro la malagiustizia.

Yara era sparita misteriosamente la sera del 26 novembre 2010 a Brembate di Sopra all’uscita da un centro sportivo. Le indagini iniziali furono parecchio tormentate e forse inquinate da depistaggi, tanto che per mesi si cercò la ragazza come se fosse viva, vittima di un sequestro per vendetta o a scopo di estorsione.

La ricostruzione dei momenti successivi alla sparizione indirizzò a un centro commerciale in costruzione a Mapello, distante una decina di chilometri dalla palestra di Brembate. Lì lavorava il marocchino Mohammed Fikri, che fu il primo sospettato. L’errata traduzione di una sua conversazione telefonica, intercettata dagli inquirenti, portò il 5 dicembre 2010 al suo arresto con modalità clamorose, mentr’era in navigazione su un traghetto che da Genova lo stava portando a Tangeri.

   

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I libri su Yara

Libri di Salvo Bella e Tommaso Accomanno
sul caso Yara Gambirasio e Massimo Bossetti.
yara
 
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