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Gruppo Edicom

 

direttore Salvo Bella         
       
 

Yara Gambirasio, Massimo BossettiBRESCIA - La linea difensiva non ha protetto totalmente Massimo Bossetti dall’ergastolo, appena confermatogli senza sconti dalla Corte d’Assise d’appello nel processo di secondo grado per l’omicidio di Yara Gambirasio. Per un delitto non meno efferato, quello di Chiara Poggi a Garlasco, Alberto Stasi se la sta cavando invece con sedici anni di carcere.

I giudici non hanno avuto dubbi sulla colpevolezza del muratore di Mapello. Bisogna aspettare la motivazione della sentenza per capire quali sono stati gli elementi che hanno portato a questa conclusione della vicenda giudiziaria, ma è facile immaginare che sia stata ritenuta per la seconda volta schiacciante la prova del dna rilevato sugli slip della ragazza assassinata e attribuito a Massimo Bossetti.

 

Eppure questa sentenza non può lasciare tranquilli: troppi accanimenti, mai registrati in altri casi, ci sono stati contro questo imputato, sin dalle modalità spettacolari e disgustose dell’arresto in ginocchio davanti alle telecamere e a un annuncio spocchioso del ministro degli Interni Angelino Alfano; strane montature al primo dibattimento, con ingiusto spulcinellamento della moglie del muratore, Marita Comi, in ogni caso del tutto estranea alla vicenda; ipervalutazione di una “prova scientifica” in un castello accusatorio quasi da fantascienza; e a ritroso, ancora, indagini sospette e controverse che hanno sottovalutato indizi non indifferenti a carico di altre persone.

Non cade tuttora l’ipotesi, assai probabile, che l’assassino di Yara Gambirasio sia qualcun altro e che ci si trovi dunque dinanzi a un gravissimo errore giudiziario, conseguenza della frettolosità a conseguire comunque un risultato in una indagine confusa e inquinata: insomma, Bossetti capro espiatorio per evitare che saltassero sedie importanti.

Un errore la mancata scelta del giudizio abbreviato

Ma rileva pure che, a distanza di anni, non s’è mai saputo quali furono esattamente i motivi che determinarono il primo difensore di Bossetti a rinunciare all’incarico, per divergenze con il collega sopraggiunto Claudio Salvagni. L’avv. Silvia Gazzetti dichiarò infatti di non essere d’accordo “in ordine all’adeguata condotta e alla linea difensiva da sostenere nella piena tutela degli interessi dell’indagato”, un’affermazione che risuona oggi in maniera sibillina. Il processo, infatti, avrebbe avuto ovviamente un’altra storia se, come in altri casi, fosse stata scelta la strada del giudizio abbreviato, che comporta la riduzione della pena di un terzo; ma la difesa scelse per il rito ordinario, che in caso di condanna non prevede sconti. La difesa riteneva dall'inizio che non ci fossero prove a carico di Massimo Bossetti, che considerava innocente, talché non s'è mai compreso perché non lo fece processare in base allo stato degli atti.

La storia giudiziaria recente è piena di casi di omicidio conclusi con sentenze di condanna a pene limitate. Alberto Stasi, condannato in via definitiva a conclusione di un iter processuale assai travagliato, grazie alla scelta iniziale del rito abbreviato sconta infatti oggi sedici anni di reclusione per un delitto, quello di Chiara Poggi, non meno raccapricciante di quello di Yara Gambirasio; Annamaria Franzoni, per l'uccisione del figlioletto Samuele Lorenzi, è stata condannata a 30 anni in primo grado e poi a 16 definitivi; Salvatore Parolisi, per l'omicidio della moglie Melania Rea, 30 anni anziché ergastolo, poi 20 anni; Michele Buoninconti, per l'omicidio della moglie Elena Ceste, 30 anni (massimo della pena) anziché ergastolo; Antonio Logli, per l'omicidio della moglie Roberta Ragusa, 20 anni (sentenza non definitiva).